TRA I MESSAGGI SCRITTI DA LETTORI TERRESTRI ALL’ALIENO PER COMMENTARE I POST, O PROPORRE ARGOMENTI PER I RAPPORTI, UNO È INTERESSANTE DA APPROFONDIRE.
Il tema suggerito riguarda i criteri di selezione per essere assunti, ed è importante parlarne oggi, giorno in cui i terrestri “festeggiano” il lavoro (lo abbiamo ricordato più volte in precedenza).
Il lettore segnala che per certi lavori vengono chiesti livelli d’istruzione sproporzionati alla mansione (si cercano laureati anche per fare il semplice impiegato in ufficio), molti anni di esperienza lavorativa, ma al tempo stesso giovani con non più di 30 anni… altrimenti “ai colloqui per l’assunzione si finisce per umiliare il candidato ritenuto troppo anziano, lasciandolo senza nulla di fatto e molto amaro in bocca”. E conclude che “questo comportamento stravagante è privo della comune logica razionale”. E come dargli torto?
Il mercato del lavoro (termine che richiama le tratte degli schiavi di antica memoria…) è davvero paradossale. Richiede istruzione ed esperienza, ma dove può essere fatta questa esperienza se nessuno impiega aspiranti inesperti della mansione? Ad una età in cui si è appena usciti dal percorso formativo, si è già quasi fuori dal limite accettato per ottenere il lavoro…
Commentando una ricerca su 30mila imprese italiane, il presidente dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche conclude che in Italia l’offerta di lavoro presenta forti limiti rispetto alla domanda, sia per mancanza di competenze adeguate, sia per l’indisponibilità a svolgere certi lavori. La sfida è far corrispondere domanda e offerta di lavoro. E questo richiede un miglioramento dell’istruzione e della formazione professionale, ma anche una migliore disponibilità dei giovani verso certi mestieri considerati negativamente. E parallelamente, un miglioramento delle condizioni di queste posizioni lavorative per renderle attrattive. Pertanto bisogna potenziare l’orientamento al lavoro, che né gli attuali Centri per l’impiego, né i “navigator” abbinati al “reddito di cittadinanza”, riescono a svolgere efficacemente.
C’è l’altro problema, posto dall’amico lettore: i modi in cui avvengono le selezioni per le posizioni lavorative.
Nel settore pubblico, i mega-concorsi sono interminabili e finiscono spesso con l’essere bloccati dai ricorsi sulle procedure di valutazione seguite discutibili, quando non addirittura “truccate” (ne abbiamo parlato in un precedente post).
Nel privato i criteri di selezione sono aleatori, e spesso condizionati da valutazioni che niente hanno a che fare col merito – età, genere, altre caratteristiche personali – mascherate da “mancanza di esperienza”.
Non è tanto l’esperienza pregressa che andrebbe valutata, quanto le “attitudini” per un certo lavoro. Cioè la presenza delle capacità di base che possono essere opportunamente addestrate per adeguarle alla specifica mansione. Per attività molto specifiche oggi richieste dal lavoro difficilmente la formazione può immettere sul mercato personale già specializzato al meglio; quindi la soluzione è la specifica formazione in servizio di chi mostra di avere le attitudini necessarie.
Questo avviene nel nostro pianeta alieno: gli istituti di formazione preparano le competenze di base per un certo settore, poi la preparazione alla specifica mansione avviene nel periodo iniziale dell’attività lavorativa, per la quale si dimostra di avere le attitudini necessarie. E lo stesso avviene nel caso di riconversione di un lavoratore da mansioni non più richieste a quelle emergenti; premesso che la formazione di base abitua, anche mentalmente, a questa flessibilità e disponibilità al cambiamento occupazionale.
Da voi si pretende che i corsi di formazione, lauree incluse, siano professionalizzanti ma in campi molto vasti, perché è impossibile prevedere a monte dove poi il formato potrà trovare lavoro. Con le conseguenze di cui si è detto: sentirsi dire al colloquio per il lavoro che non si ha esperienza nella mansione. E quando si riesce ad avere, dopo anni di stage volontari e tirocini non retribuiti, si è troppo anziani per essere assunti.
Lo conferma un recente studio dell’agenzia EY sulle transizioni scuola-lavoro secondo cui esiste tra formazione e lavoro un forte “skill mismatch”. Del significato di skills abbiamo già parlato; mismatch indica la non corrispondenza delle abilità possedute e quelle richieste per la mansione. La soluzione proposta per ridurre questo scarto è quella che gli esperti in psicologia e pedagogia propongono da tempo: consolidare nella formazione le competenze “trasversali” ai diversi lavori. Cioè quelle sociali ed emotive, ad esempio la flessibilità cognitiva, la capacità di lavorare con gli altri, l’apertura mentale, la stabilità emotiva e la resilienza. Competenze utili per tutti i lavori, e peraltro ricercate dalle imprese più previdenti che dopo la pre-assunzione formano alla specifica mansione come proficuamente si fa nel nostro pianeta.
Per le mansioni meno specializzate e meno “appetibili” dai lavoratori il discorso è diverso, ma non meno grave. Le statistiche dicono che le aziende faticano a trovare principalmente lavoratori dell’edilizia e dell’industria estrattiva e meccanica, e c’è penuria anche di manodopera nel settore agricolo.
In mancanza di nativi locali disposti a fare questi lavori, potrebbero essere assunti immigrati volenterosi, come si è fatto e si fa ancora in molti paesi. Ma alcune nazioni come l’Italia limitano l’immigrazione respingendo chi non ha già un contratto di lavoro. Siamo alle solite: si richiede una qualifica prima che si abbia tempo e modo per acquisirla. La soluzione diffusa è far lavorare gli irregolari “in nero” cioè senza contratto. Soluzione illegale, e a rischio per tutti.
Ha ragione l’amico lettore che definisce tutto ciò privo di logica razionale…
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