ANCHE STAVOLTA PRENDO SPUNTO DA UN MESSAGGIO RICEVUTO DA UN LETTORE, CHE RIPORTA UNA DICHIARAZIONE LETTA SU UN QUOTIDIANO, E MI CHIEDE SE QUESTO È UN LINGUAGGIO CHE LA GENTE COMUNE DOVREBBE COMPRENDERE.

La frase è: “L’autonomia strategica non può prescindere, necessariamente, dal lavoro in termini di de-risking, re-shoring, e friendly-shoring delle catene del valore che dobbiamo portare avanti insieme.”

Questa dichiarazione della presidente del Consiglio italiana ad un gruppo di industriali ha spiazzato molti giornalisti che avrebbero dovuto informarsi urgentemente sul senso delle parole, specie di quelle inglesi. Ma per la verità non è facile da capire neppure – in italiano – quali sono le “catene del valore” che si devono portare insieme.

Per non affaticarsi a “tradurre”, molti giornali si sono limitati a riportare le parole senza spiegarle, ribaltando sui lettori il problema della comprensione. Cosa che purtroppo avviene sempre più spesso nel giornalismo quotidiano. E così anche i lettori, tranne quelli più istruiti in economia e in inglese, ci hanno capito poco.

Confesso che anch’io, nonostante sia stato ben programmato dai tecnici del pianeta da cui provengo, ci ho messo un po’ a capire che…

  • De-risking (evitare i rischi) vuol dire tagliare i rapporti con clienti ritenuti a rischio di riciclaggio o di supporto al terrorismo.
  • Re-shoring (“ri-spiaggiarsi”) è la scelta di un’azienda di spostare produzione e forniture in un Paese diverso da quello in cui in cui erano state spostate in precedenza – che si dice off-shoring, mentre near-shoring se si resta vicino casa. Back-shoring vuol dire invece tornare in patria, e per questo ritorno all’ovile venire premiati con una sostanziosa riduzione delle tasse da pagare. Alla faccia di chi in patria c’è rimasto: conveniva andarsene e poi tornare…
  • Friend-shoring (“sbarcare dagli amici”) significa che si produce o si scambia con paesi politicamente alleati bloccando il commercio con quelli non graditi. Può essere una ritorsione contro le sanzioni subìte, si faceva anche durante il regime fascista, ma allora almeno le parole straniere erano vietate.

E che dire del termine “dumping” che spesso si sente ripetere nelle sue diverse accezioni? Vuol dire “scarico” e si usa per indicare la sindrome con nausea, vomito, diarrea. Ma sul piano economico vuol dire ben altro. Significa che un’azienda esporta i propri prodotti a prezzi molto più bassi di quelli di mercato interno, allo scopo di speculare nei mercati esteri. È una forma di concorrenza sleale, che molti stati appoggiano più o meno apertamente, a dispetto delle regole internazionali. E altri stati subiscono senza reagire adeguatamente, e questo mette in crisi i produttori locali.

C’è poi il “social dumping”, che è la trasgressione delle leggi sulla sicurezza, sui diritti dei lavoratori e la tutela ambientale. Questo consente alle imprese (specie multinazionali o off-shoring) di ridurre i costi di produzione e quindi di vendere le proprie merci a prezzi più bassi di quelli di mercato. Danneggiando non solo i lavoratori che rischiano la vita senza garanzie di sicurezza e l’ambiente, ma anche i produttori onesti che queste leggi le rispettano e quindi vanno fuori mercato.

Ci sono tanti termini usuali nel gergo della finanza internazionale (che parla inglese), come Bund, Downgrading, Outsourcing, Rating, Spread, Tobin tax, e altre centinaia di parole straniere importate sono contenute nei dizionari di economia e finanza. Però questi dizionari non sono molto diffusi tra chi legge prevalentemente di cronaca nera o rosa, di pettegolezzi sui personaggi famosi, o di sport. O non legge affatto, e si limita ad ascoltare distrattamente i TG.

Questa ampia parte della popolazione non capirà cosa vuol dire la politica quando parla agli industriali, cosa decidono i G7 (o altre sigle con lettere e numeri), come cambiano le politiche finanziarie internazionali a seguito delle crisi mondiali. Né capirà cosa decide la Banca centrale europea sui tassi di costo del denaro, e cosa scrive il ministero dell’Economia italiana nelle leggi di bilancio. E di quello che non ha capito non potrà tenere conto quando andrà a votare (o penserà bene di non andarci).

Però subirà, senza capirne le cause, le conseguenze di queste decisioni. Si accorgerà dell’aumento dei prezzi, e per risparmiare dovrà accontentarsi di merci scadenti prodotte chissà dove e come. Subirà incomprensibili saliscendi dei costi dei mutui (ma anche del gasolio). Si accorgerà della perdita di posti di lavoro quando l’azienda nazionale decide di procedere ad un “off-shoring”. Le conseguenze dei termini inglesi parlano italiano, e tutti possono comprenderle. Sulla propria pelle e su quella dei propri figli.