NELLE SCORSE SETTIMANE I MEDIA SONO STATI INVASI DALLE ECCEZIONALI IMMAGINI DEL TELESCOPIO SPAZIALE JAMES WEBB, CHE CI MOSTRANO L’UNIVERSO COME MAI SI ERA VISTO PRIMA.

Il grande telescopio costruito dalla Nasa e dall’Ente Spaziale Europeo, costato 100 miliardi di dollari, consente di indagare lo spazio e i corpi che esso contiene, risalendo fino a milioni di anni dal Big Bang.

Foto del telescopio Webb, luglio 2022

In un post precedente, pure stimolato da foto dello spazio, avevo parlato dei buchi neri e dei loro misteri.  Adesso le foto del telescopio Webb ci riportano ad ipotizzare la dimensione dell’universo che ci circonda. Spazio sterminato che avvolge sia la vostra Terra che il mio pianeta alieno, distanti tra loro ma entrambi puntini spersi nell’immensità dell’universo.

Il primo pensiero che sorge spontaneo vedendo queste foto, o semplicemente guardando il cielo stellato in una notte serena, è che siamo avvolti dall’infinito. Quello che traduce il simbolo matematico ∞ nella dimensione spaziale.

Ma la nostra ragione si chiede se davvero può esistere uno spazio infinito. Pure i più potenti mezzi riescono a vedere solo quello che sta a meno di 100 miliardi di anni luce. E il resto che sta oltre?

Oltre duemila anni fa in Cina Xuan-ye già teorizzava un universo celeste senza limiti. Ma se l’universo è infinito, fin dove può estendersi? E se è limitato, dove è il suo confine? Cercare di rispondere a queste domande con la mente umana limitata appare missione impossibile. Ma neppure la nostra raffinata mente aliena ci riesce.

Per superare il mistero della finitudine, teologi di ogni religione hanno identificato l’infinito con la Divinità. Le religioni ebraica, cristiana e islamica hanno contestato la nozione greca di un infinito passato ed un futuro pure infinito. C’è stata dunque una creazione e ci sarà una fine del mondo?

Gli scienziati moderni hanno creato modelli di universo in continua espansione. O addirittura con un andamento ciclico, con una curvatura spaziale che porta all’eterno ritorno. Altri ipotizzano uno stato iniziale senza confini, da cui ha avuto origine e si è espanso lo spazio-tempo al momento del Big Bang. C’è chi preferisce parlare, anziché uni-verso, di “multi-verso”: l’universo che conosciamo sarebbe solo uno tra i molti che possono coesistere. Tutte ipotesi senza possibilità di verifica certa. Per questi dubbi, non risolvibili dalla mente umana, Borges definiva l’infinito come “un concetto che corrompe e altera tutti gli altri”.

Secondo Giordano Bruno, è innaturale che l’infinito sia comprensibile, altrimenti non sarebbe infinito…

Il “deep field” ripreso dal telescopio Webb (2022)

A comprendere l’infinito hanno provato i poeti. Ad esempio Leopardi, che l’infinito richiama già nel titolo della sua celebre poesia. Osservando il cielo e il suo spazio illimitato, si attiva il ricordo di un eterno passato scomparso, confrontato col vivo presente. L’infinito spaziale si fonde con quello temporale: l’eternità.

«… sedendo e mirando, interminati spazi … e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo… e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio…

Infinito ed eterno sono gli orizzonti, inarrivabili e incomprensibili, del mare della finitezza umana.

La conclusione leopardiana è … naufragar m’è dolce in questo mare». Al contrario, Alfred De Musset diceva: “Non posso farci niente: mio malgrado, l’infinito mi tormenta”.

Una dolcezza o un tormento che ci si porta dietro nella nostra limitata esistenza terrena. E oltre?

Si può pensare di andare al di là della singolarità delimitata nello spazio e nel tempo? E costruire un progetto collettivo che si proietta oltre lo spazio e il tempo immediatamente vissuto? Questo potrebbe realizzare una comunità che sfida il limite della finitudine, e si immerge dolcemente nell’infinito, come diceva il poeta.