NELLO STESSO GIORNO ARRIVANO DUE TRAGICHE NOTIZIE CHE RIGUARDANO BAMBINI DELLA STESSA ETÀ, APPENA UN ANNO E MEZZO.

Questa età aveva Diana, morta di fame e sete per essere stata lasciata da sola a casa dalla madre per una settimana. In una culla da campeggio, con a fianco un biberon con del latte e dopo averla sedata con un tranquillante. Era successo altre volte, durante i weekend, e la bimba era riuscita a sopravvivere, ma stavolta non ce la poteva fare a resistere così a lungo. Al nuovo compagno, che era andata a trovare, la mamma aveva detto che la figlia era a mare con la sorella. Ai vicini diceva che la bambina restava con una babysitter, mai esistita.

Per sua stessa ammissione, la donna si comportava come se la figlia, nata da una relazione clandestina, non esistesse. Partorita dopo una gravidanza indesiderata e quasi inconsapevole, senza che il padre lo sapesse, adesso voleva farsi una nuova vita con un altro uomo e questa figlia era un ingombro che doveva essere cancellato dalla mente e dalla realtà.

La psicologia cercherà di spiegare questi comportamenti col rifiuto inconscio della maternità non voluta, con il predominio della fantasia allucinatoria in una donna che non aveva mai accettato una realtà sgradita. Ma per quante spiegazioni psicologiche si possano dare, resta lo sconcerto per la tragica fine di una vita messa al mondo e spezzata in modo incredibile.

L’altra storia riportata lo stesso giorno dai media parla degli esiti giudiziari di un analogo dramma avvenuto in precedenza. Condannati all’ergastolo la giovane madre e il patrigno di Evan, un bimbo, anche lui di un anno e mezzo, morto a seguito di percosse e lesioni prolungate per mesi per “punirlo” perché piangeva. Fratture al femore, allo sterno, alle costole, alla clavicola. Un martirio durato mesi, senza che intervenisse la madre, che adesso si dice “plagiata” dal compagno violento.

Due storie che richiamano tanti altri drammi precedenti, con piccole vittime di genitori violenti e irresponsabili. Bambini venuti al mondo in un mondo che ha fatto di tutto per sopprimerli, dopo tante sofferenze che neppure erano in grado di capire. Alcuni abbandonati alla nascita, altri soppressi dopo mesi di torture. Altri sopravvissuti ma segnati per sempre dal rifiuto e dalle violenze fisiche e psichiche subìte nell’infanzia.

Certo, tante spiegazioni sono possibili.

Abbiamo detto del rifiuto psicologico di diventare genitori, e si può dire dell’odio verso creature messe al mondo senza volerle, o generate da padri diversi quindi non sentiti come “propri”.

La letteratura ci racconta di Medea che uccide i figli per vendicarsi di essere stata tradita dell’uomo con cui li aveva messi al mondo. Ne abbiamo già parlato, a proposito delle tragedie familiari che avvengono quando un rapporto finito si trasforma in violenza distruttiva.

La storia ci ricorda che in tempi passati i figli non erano considerati “persone” e potevano essere maltrattati e uccisi senza remore né rimpianti.

L’etologia cita alcune specie animali che uccidono i figli (ma gli umani ci tengono a dichiararsi superiori agli animali…)

La sociologia spiega il maltrattamento delle parti più deboli dell’umanità (donne, bambini, disabili) col disagio sociale e con la carenza di sistemi di protezione e di prevenzione.

Ma adesso, al di là delle “spiegazioni” scientifiche, il vostro mondo dovrebbe chiedersi come è possibile che accadano violenze del genere su persone deboli e indifesi. Tenendo conto che solo alcuni di esse – quelle con esiti più eclatanti – arrivino alle cronache e ai tribunali. Mentre altri si consumano nel chiuso delle mura domestiche e provocano conseguenze devastanti sul corpo e sulla mente delle vittime.

Visto che queste tragedie riguardano spesso madri e padri giovanissimi, è la formazione delle nuove generazioni che va ripensata. Generazioni incerte e impreparate sulle scelte importanti, che finiscono per fare in modo impulsivo e casuale. Avvezze a cercare l’appagamento immediato di bisogni futili e superficiali, e ignorando valori essenziali come quelli della maternità e paternità responsabile. Ragazze e ragazzi abituati a postare sui social narcisistici selfie (come la mamma assassina della piccola Diana) o bravate di gruppo. Giovani che desiderano e al tempo stesso temono una sessualità mal presentata dai media, quasi come un “dovere” di normalità che però sfocia spesso nel patologico e o addirittura nel criminale.

Da alieno da poco arrivato sul questo pianeta violento, capisco che sto dicendo cose da tempo ripetute dai vostri psicologi, sociologi e pedagogisti. Ma visto che i drammi continuano bisogna riparlare delle cause delle tragedie come quelle oggi riportate. E quindi dei ‘valori’ che stanno a monte dei comportamenti. Perché il male non è naturale, ma è anche un prodotto culturale.

Di valori si parla poco come se fosse argomento antiquato e anacronistico. Parlare di “disvalori” come l’individualismo,  il consumismo, il narcisismo egoista, il rifiuto pregiudiziale del ‘diverso’, e pretendere che se ne occupino gli educatori e persino i legislatori, è considerato demodé e utopistico.  

Eppure sono i valori (in positivo o in negativo) che motivano e spingono ai comportamenti (produttivi o distruttivi).  E che andrebbero ripensati radicalmente, per difendere i diritti dei bambini a vivere e crescere in salute fisica e mentale. Ed evitare poi – davanti alle tragedie ricorrenti – di piangere lacrime che un vostro antico detto definisce “da coccodrillo”.