IL VOSTRO MONDO PERVASO DI TECNOLOGIA PROCLAMA CHE GLI STRUMENTI INFORMATICI E TELEMATICI AIUTANO A VIVERE MEGLIO. “È PIU’ FACILE E CONVIENE”: ECCO LO SLOGAN PER CONVINCERE AD ATTREZZARSI SU TABLET E APP TELEFONICHE PER LE OPERAZIONI DELLA VITA QUOTIDIANA.

In rapporti precedenti avevo parlato, scherzandoci sopra, della invasività delle tecnologie. Possono piantarci nel bel mezzo di una operazione importante o lasciarci in abbandono in un momento di urgenza (“si può vivere senza smartphone?”). Possono confonderci con le decine di password da memorizzare in luoghi “sicuri”, tanto sicuri da essere difficili da recuperare anche per noi stessi.

Adesso cito una esperienza su cui c’è poco da scherzare. Eccone la fedele trascrizione, simile ad thriller ad alto coinvolgimento emotivo.

Devo verificare un importo arretrato da pagare a seguito di una contestazione della Agenzia delle Entrate (il romanzo, come vedete, è ambientato in un luogo di per sé  drammatico). Per questo mi serve accedere al “cassetto fiscale” che sarebbe il registro informatico dove vengono depositati tutti gli incassi accertati in base al codice fiscale (questa tecnologia aiuta… il fisco a controllarci ed evitare le evasioni. Eccellente!).

Per accedere e verificare dal mio “cassetto” cosa dovrei pagare serve lo SPID. Un codice – dice il sito – che “agevola i cittadini per accedere ai servizi online delle Pubbliche Amministrazioni e dei soggetti privati con un’unica Identità Digitale”. Eccezionale! Basta con i viaggi della speranza in uffici dagli orari astrusi, le file agli sportelli, le discussioni con burocrati scorbutici e scostanti. “D’ora in poi, tutto con un clic”, dice la pubblicità-progresso.

Eccomi allora pronto a sfruttare questo progresso, comodamente seduto davanti al computer. Clic fatto sull’icona del sito, inserisco l’username e Google automaticamente aggiunge la password. Pregusto un facile “apriti sesamo” come nella fiaba di Alì Babà.  Ma ecco il primo insidioso imprevisto in agguato. “Password scaduta, occorre cambiarla”. Dimenticavo che tutte le password scadono come gli yogurt, anzi più velocemente. Ahimè, il viaggio comincia male. Cambiare la password comporta riscrivere la vecchia prima della nuova. Ma io le decine di password che mi riguardano,  che non ricorderei mai, le ho memorizzate in automatico su Google, che fa vedere solo degli asterischi. Che fare? Chiamo un mio amico esperto in tecnologie. Lui mi suggerisce di andare nelle impostazioni  di Google dove, a ben cercare, tutte le password sono memorizzate e possono essere lette! Miracolo, per me (ma pure per chi vuole leggerle a mia insaputa? Spero di no, ma non ho tempo anche per soffermarmi su questa preoccupazione). Recupero la vecchia password, la inserisco, invento quella nuova  (che dovrei appuntarmi da qualche parte, lo farò dopo, intanto la faccio memorizzare dal solito Google). La ripeto due volte perché così vuole il Cerbero che mi aveva bloccato all’ingresso.

Il Cerbero però, non fidandosi del tutto, mi chiede di controllare la posta elettronica per verificare la mia identità cliccando sul messaggio che mi hanno mandato. Vuole verificare che sono davvero io ad aver cambiato la password. Eseguo pazientemente tutti i passaggi.   Rientro nel sito protetto come Fort Knox, clicco sulla spunta che assicura che non sono un robot (!) e finalmente la porta è aperta…

Ma per accedere al famoso cassetto occorre ancora la chiave, l’altrettanto famoso SPID, che si recupera mediante l’apposita “app” sul cellulare. Corro ad accendere lo smartphone, verifico quanto è carico (solo il 20%, ma dovrebbe bastare), clicco sull’app del provider che mi deve collegare allo SPID.  Altro guaio: l’app – che non uso da tempo – va aggiornata per funzionare correttamente. Avvio l’aggiornamento, e seguo con ansia il cerchietto che gira lentamente (che si scarichi il telefono prima che l’operazione sarà finita?). Finalmente la palla finisce di girare e l’app nuova è disponibile. Vado sul sito che attiva la ricerca, che mi rimanda al controllo dall’app sullo smartphone che deve darmi l’OTP da inserire per la verifica. OTP vuol dire One Time Password, cioè “password usa e getta”. Per farla apparire basta attivare il riconoscimento digitale sullo smartphone, cioè appoggiare sul tasto apposito il dito la cui impronta è pre-registrata.

Sembra facile… la risposta è “Ops, qualcosa è andato storto”. Responso impietoso e sibillino: che vorrà dire? Cosa sarà andato storto?  Controllo il dito, in effetti è umido. L’aumento della sudorazione è uno degli indici di agitazione, che sale quando la tecnologia blocca senza dire perché. E quindi il “codice biometrico” non è più riconoscibile…

Corro ad asciugare il dito, e riprovo. Stavolta funziona! Però l’OTP intanto è scomparsa, perché appunto era temporanea… Riprovo ancora, leggo il nuovo numero, cerco di memorizzarlo con i pochi neuroni ancora attivi. Anzi per timore che i neuroni attivi siano troppo pochi, cerco affannosamente una matita e un foglietto, appunto il numero e mi precipito al computer per riscriverlo negli appositi spazi. EUREKA! Come disse Archimede giubilando per la sua scoperta… il cassetto fiscale si apre, e mi dice persino un gentilissimo “benvenuto”. L’autenticazione “a doppio fattore di sicurezza” come viene orgogliosamente definita, finalmente ha funzionato.

La soddisfazione è grande, anche se nel mio caso si tratta di sapere quanto devo pagare di arretrati, per cui non so se c’è da essere soddisfatto per essere riuscito nell’impresa tecnologica.

Ma un’altra, più grande frustrazione subentra ben presto.

Il sistema “è spiacente di comunicare” che il cassetto fiscale non era ancora attivo per l’anno di riferimento. Per cui tutta l’operazione è stata inutile. Mi consigliano di recarmi i presenza presso gli uffici, sede… orari… Tutto come prima che la tecnologia ci agevolasse la vita.

Raccontando questa avventura ad amici mi dicono che le stesse traversìe hanno affrontato per fare pagamenti in banca affrontando i mari in burrasca di PIN, riconoscimenti “biometrici”, K6 (non è una montagna, ma una chiave di sei cifre che autorizza il pagamento online), e quant’altro la tecnologia ha inventato “per la nostra sicurezza”. Alla quale molti rinuncerebbero volentieri tornando al vecchio contante, che magari si rischiava di farsi rubare, ma almeno non chiedeva password, OTP, e riconoscimenti biometrici. I ladri potevano usarli senza problemi, ma anche il legittimo proprietario…  Adesso invece per non farsi rubare  si rischia di perdere tempo inutilmente, come nell’avventura che vi ho raccontato.

Esempio di una Odissea virtuale dove i Proci sono gli hacker che vogliono derubarci, ma la tela di Penelope che da loro ci dovrebbe salvare invece ci avviluppa e ci imprigiona.

Siamo certi che la tecnologia sempre ci aiuta?