LE CRONACHE QUOTIDIANE CI PARLANO DI GUERRE, STRAGI, DELITTI, AGGRESSIONI, STUPRI… TANTO FREQUENTI CHE FINIAMO PER ABITUARCI E CONSIDERARE LA VIOLENZA “NATURALE”. INEVITABILE FRUTTO DEL MALE CHE PERVADE IL MONDO FIN DALLE SUE ORIGINI.

Diceva un personaggio di Brecht: “Quello che succede ogni giorno, non trovatelo naturale.  Di nulla sia detto: è naturale, in questo tempo di anarchia e di sangue, di ordinato disordine, di meditato arbitrio, di umanità disumanizzata. Che nulla sia considerata cosa immutabile

Non trovare naturale il male è un messaggio che anche altri autori hanno ribadito.

Hannah Arendt, riflettendo su come è stata possibile la tragedia del nazismo, parlava di “banalità del male”. Voleva dire che i “mostri” passati e attuali, che aggrediscono e violentano, che distruggono gli altri, non sono creature mostruose, come le loro efferate azioni. Sono persone apparentemente “ normali”, che in apparenza somigliano a tutte le altre.

La devianza nasce dallo sviluppo normale. Origina da una comune radice che trova strade diverse, e può fare fiorire alcuni rami, disseccarne altri; portare frutti buoni o cattivi. Ma la crescita e la fioritura è frutto di una scelta, o di un “destino”?

Da sempre ci si è chiesti se la radice dell’uomo, la sua meta originale, è il male o il bene. Lo ha fatto anche Einstein negli anni ‘30 del secolo scorso domandando a Freud se si potessero spiegare le origini della distruttività. Quella violenza già nota da secoli, che aveva portato alle stragi della prima grande guerra, e che rischiava di portare ad un altro conflitto mondiale. E Freud nel rispondergli citava un “istinto di morte”, una forza biologica che coesiste sin dall’origine della vita con quello dell’amore verso la vita.

Angeli e demoni, by Maurits Cornelis Escher

Questo doppio istinto si traduce nei miti della forza buona che lotta eternamente contro quella cattiva. L’albero del bene e del male. Angeli contro demoni in lotta eterna tra loro. Paradiso dove stanno i buoni e inferno dove stanno i cattivi. Stanno, perché questa collocazione non avverrà necessariamente in un “altro” mondo futuro, ma avviene già in quello attuale, dove paradiso e inferno devono convivere.

Se davvero c’è un albero della conoscenza bene e del male, la colpa che precede e genera tutte le colpe è sceglierne i frutti sbagliati. La scelta sbagliata è il “peccato originale”. Se ci può essere una colpa – e non siamo tutti per natura “incapaci di intendere e volere” – dunque ci può essere una scelta.  Anziché cogliere i frutti del male, scegliere quelli del bene.

Come hanno fatto quei giovani tedeschi di cui narra la Arendt, arruolati a forza nelle SS, che preferirono morire piuttosto che partecipare ai massacri. E il sergente della Wehrmacht condannato a morte per aver fornito passaporti falsi agli ebrei per aiutarli a fuggire. E l’agente di custodia italiano Andrea Schivo, deportato e ucciso insieme ai detenuti che aveva cercato di salvare. Esempi estremi di eroismo quotidiano, che mostrano come sia possibile conservare la capacità di distinguere il bene dal male, anche quando questo può costare la vita. Mentre l’Olocausto (come ognuno degli stermini di cui la storia è piena) è stato consentito dal fatto che la “maggioranza silenziosa” decide di annullare la propria libertà di coscienza, consentendo così che il male prevalga, e diventandone conniventi e di fatto corresponsabili.

L’albero della conoscenza del bene e del male, i suoi frutti, le tentazioni

La scelta del bene può avvenire per fede religiosa, come è successo per martiri del nazismo come Dietrich Bonhöffer e  Maksymilian Kolbe. Molte fedi, cristiane e non, hanno a fondamento del proprio messaggio l’amore e la fraternità universale. Secondo il  Talmud “chi salva una vita salva il mondo intero”. Anche se alcuni traditori della vera fede la usano invece per giustificare violenze e guerre fratricide.

La scelta può essere guidata da valori “laici” secondo cui la cooperazione, la solidarietà sono il giusto destino dell’intero pianeta. Tutte le parti e le epoche del mondo condividono storie di oppressione e devastazione ma anche di reciproca solidarietà. Sempre a proposito della tragedia dell’olocausto, è nota la resistenza attiva nel salvare i perseguitati di persone come Schindler, Perlasca, Zamboni, e molti altri ricordati come “giusti tra le nazioni” dall’Istituto Yad Vashem di Gerusalemme. Oltre 600 dalla Germania nazista, 700 dall’Italia fascista. Circa 28 mila in tutto, da 50 paesi del mondo. Prova che in tanti hanno saputo scegliere il bene e restare fedeli a principi di umanità e a valori di solidarietà, anche a prescindere dalla fede religiosa.

Secondo Edgar Morin bisogna educare le persone, fin dall’infanzia, a comprendere la condizione comune a tutti gli umani che ha il suo fondamento nella accettazione della «necessaria e arricchente diversità degli individui, dei popoli, delle culture». Per Morin la coscienza del destino comune può salvare il pianeta dalla distruzione cui porterebbe la prevalenza delle forze del male. L’educazione può contribuire alla creazione di una “cittadinanza terrestre”.

Morin ha creato il neologismo “reliance”, derivato da religione – in una visione laica – e alleanza. È la capacità di rafforzare le connessioni positive o crearne nuove. L’identità sociale è possibile solo se connessa al nostro ‘prossimo’, alla comunità, alla società multietnica, alla razza umana come “Terra-Patria”. Questo è il “porto sicuro” per tutti gli esuli in cerca di fraternità, salvezza dalla deriva cui portano tecnologia ed economia lontane dal mirare alla meta del bene comune. È la strada verso una polis comune cui la politica mondiale – tradendo lo stesso proprio nome – non sa, o non vuole, orientarsi.

Non solo la violenza può trovare le sue radici nel carattere, ma anche l’amore, ricordava Erich Fromm: “L’amore per il mondo intero, non soltanto per un individuo particolare”. E se l’amore nasce dal carattere, il carattere si costruisce dall’interno della mente umana, non è “dato” o imposto dall’esterno.

La violenza che stermina gli altri e se stessi non nasce necessariamente da fattori biologici, o da patologie psichiche, che rendono “folli” e perciò distruttivi. Tranne pochi e rari casi, la scelta di dove collocarsi nella lotta tra bene e male non è frutto di costrizione genetica o puramente ambientale. Sta alla volontà di ciascuna persona scegliere da che parte stare, non solo “comportarsi bene” ma collaborare a costruire un mondo migliore.

Per concludere ancora con parole di Brecht: “Pensate, per quando dovrete lasciare il mondo, non solo ad essere stati buoni, ma a lasciare un mondo buono!