DAGLI ANTICHI C’E’ SEMPRE DA IMPARARE, MOLTE COSE CHE DICEVANO SONO SEMPRE ATTUALI E FANNO RIFLETTERE ANCORA OGGI.

Ho letto che Niccolò Machiavelli scriveva a Francesco Guicciardini nel 1521: “Io non dico mai quello che credo, né credo in quello che dico. E se pure qualche volta mi vien dire il vero, lo nascondo tra tante bugie che è difficile ritrovarlo”. Pare di sentire un giornalista, un influenzatore dei social, o un politico in vena di confessioni fuori onda o a microfoni spenti.

Verità non dette (o dette a metà), menzogne spacciate per verità, difficile distinguerle dalle pagine dei giornali, dai dibattiti televisivi, dai comizi dei politici. Nei partiti, nelle congreghe di ogni tipo, ma anche nelle aziende e nelle famiglie, le bugie coprono magagne e malefatte che nessuno può o vuole dire. Non parliamo delle aule dei tribunali, dove si giura di dire la verità ma si dimentica presto il giuramento. Già Ponzio Pilato, durante il processo a Gesù, si chiedeva “che cos’è la verità”, e nel dubbio si lavava le mani dalle conseguenze di menzogne che non poteva scoprire (oggi i giudici non lo fanno più).

Forse è meglio davvero lavarsi le mani dalla pretesa di sapere cos’è la verità, sulla cui definizione i filosofi e i linguisti e pure i matematici si sono accapigliati per secoli, senza ad arrivare ad una … conclusione vera. È vero ciò che è coerente? O quello su cui ci si mette d’accordo, ed è utile? La verità di fatto è diversa da quella della ragione? E la verità oggettiva è diversa da quella soggettiva? Qualcuno ha pensato bene di separare la verità dalla certezza, complicando ancor più le cose.

Alla gente comune, ma anche ai giudici (e agli alieni come me), interessa di più capire quando qualcuno dice quello che veramente pensa, oppure mente sapendo di mentire, allo scopo di convincere gli altri che è vero quello che gli conviene.

La bocca della verità a Roma: mordeva la mano degli sposi mentitori.
Ma, purtroppo per i partner traditi, è solo una leggenda

Insomma: dove sta la verità?

“Nel vino” dicevano gli antichi. Oggi si potrebbe dire lo stesso per la birra e i superalcolici. Ma c’è bisogno di ubriacare qualcuno per fargli dire la verità? Qualche scienziato ha pensato che, anziché aspettare che gente si ubriachi per sapere la verità, conveniva metterla in ipnosi, oppure usare delle sostanze disinibenti, come il Pentothal. Ma questi sistemi anziché svelare la verità inducevano a mescolarla ancora più con la fantasia.

Nel secolo scorso sono state escogitate delle macchine per capire se un interrogato dice la verità o mente. Le hanno chiamate Lie detectors, scopritrici di bugie, e si basano sul principio che quando la persona sta mentendo altera il suo normale funzionamento fisiologico e persino le sue attività cerebrali. Sono pure stati inventati dei mezzi per leggere le impronte digitali cerebrali, in grado di scoprire le bugie dalle tracce di attività registrabili dal cervello. Questa ricerca di tracce che le menzogne lasciano nel cervello tenta di distinguere verità e menzogna non dalle parole ma direttamente dalla mente, tramite le tecnologie che le attuali neuroscienze mettono a disposizione. Scoperte affascinanti, che vincerebbero la presunzione machiavellica di nascondere bene le bugie. In America FBI e CIA si entusiasmarono per queste tecniche, ma restarono presto deluse.  Infatti, come le “macchine della verità”, producono troppi errori e “falsi positivi” per essere accettate dai tribunali, dove ci vogliono prove certe “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Gli stessi neuroscienziati riconoscono che queste indagini cerebrali sono poco attendibili per la complessità delle variabili in gioco, e per la scarsa capacità discriminativa. Infatti piccole imprecisioni o errori di valutazione possono essere considerati allo stesso modo di grosse menzogne. E inoltre, le persone dubbiose o ansiose hanno alterazioni fisiologiche e cerebrali che non c’entrano con la verità di quello che dicono.

Qualcuno pensa allora di tornare, ovviamente senza farlo sapere in giro, ai vecchi metodi degli inquisitori per costringere gli interrogati a dire la verità. Botte, torture e creativi mezzi di costrizione che la criminalità, specie quella mafiosa, usa con disinvoltura ed efficacia. E qualche volta anche i tutori dell’ordine e della legalità sono tentati di cercare così la verità dei fatti.

Però tutti questi metodi per estorcere la verità non sono applicabili a chi mente e imbroglia per mestiere (e con mestiere), sfuggendo ad ogni inquisizione. Primi fra questi i politici e i cosiddetti “social influencers”. Categorie che non di rado attuano un imbroglio sistematico, presentando o nascondendo la verità secondo la convenienza, e applicando alla lettera quanto Machiavelli proponeva. Lo stesso Machiavelli, che di politica se ne intendeva, tirava delle conclusioni che molti politici odierni condividono: “Sembra più conveniente andare dietro alla verità effettuale delle cose…”. La verità politica è quella che conviene…

Come difendersi dagli imbroglioni dai mentitori?

Dovremmo sempre chiedere a chi vuole convincerci (o abbindolarci?) con la sua verità, di esporre in dettaglio su quali dati e fatti è fondata. E cercare se ci sono altri dati che invece presentano altre verità. Come diceva William Deming, “di Dio ci fidiamo. Gli altri portino le prove”.

Se i suoi contemporanei glielo avessero imposto, anche Machiavelli qualche verità in più l’avrebbe detta.