STAVOLTA SCRIVO IL MIO RAPPORTO SETTIMANALE SU UN ARGOMENTO DI CUI CONOSCO POCO… SO CHE NON SI DOVREBBE FARE, MA MI CONFORTA SAPERE CHE NEL VOSTRO MONDO LO FANNO IN TANTI.  PARLERO’ DELLA “BORSA VALORI”, INCURIOSITO DEL FATTO CHE DURANTE L’EPIDEMIA E’ UNA DELLE POCHISSIME ATTIVITA’ CHE NON SI E’ FERMATA MENTRE TUTTO IL MONDO E’ SCONVOLTO E BLOCCATO.

Titoli borsistici che scendono in picchiata, altri che salgono misteriosamente mentre l’economia si ferma, chi si arricchisce e chi si impoverisce… e chi ci capisce? La mia mente aliena resta interdetta davanti a queste altalene per me inspiegabili, e non sa cosa comunicare ai suoi superiori (da noi l’economia non ha bisogno di quotazioni in borsa).

Sul competente giornale “Sole24ore” leggo una dichiarazione dell’amministratore delegato di Borsa Italiana “I mercati non si fermano, Piazza Affari restò operativa anche in guerra”. Anche di fronte a pressioni di economisti banchieri e politici di fermare le contrattazioni di Borsa per evitare ulteriori crolli e manovre speculative, viene confermata la completa operatività del mercato.

Peraltro anche nel resto del mondo  l’attività sulle piazze finanziarie continua imperterrita, come è successo anche dopo l’attentato alle Torri gemelle nel 2001, e dopo il “Lunedì nero” del 1987. C’è un «business continuity plan»… che sarà mai? Cerco una spiegazione tecnica. Sulle pagine economiche di un altro quotidiano trovo: “Chiudere la Borsa è una pessima idea, aumenterebbe il panico. E’ l’equivalente finanziario del gettare via il termometro quando segna febbre: l’unico risultato è che diventa più difficile capire quanto è grave e come evolve l’influenza”. Ma non sarebbe il caso di curare prima l’influenza, anziché misurarne continuamente il peggioramento, che il panico lo induce comunque? Mi viene il dubbio che tenere alta la febbre convenga a qualcuno… a cui interessa la Borsa piuttosto che la vita delle persone e del mondo intero.

Per cercare di capire, prendo spunto da un poeta contemporaneo che mi piace molto, Valerio Magrelli, che ne “Le cavie” paragona le Borse a una funzione religiosa: “Le mille canne (l’organo / dei titoli quotati) / non suonano per noi / bensì per i fedeli / genuflessi nel Tempio”

Che ci sia una setta, come quelle religiose, che regola banche e borse? Su questo neppure i poeti, per quanto affascinanti, danno spiegazioni… per cui cerco di capire qualcosa sulle altalene borsistiche leggendo la sezione dell’enciclopedia Treccani “spiegata ai ragazzi”. Se è per i ragazzi potrò capire anch’io senza essere esperto di economia!

“La borsa valori è il mercato in cui si incontrano la domanda e l’offerta di titoli di credito; sulla base delle richieste pervenute e dei titoli a disposizione viene fissato il prezzo di scambio. Vendere e comprare azioni scommettendo e rischiando sul loro prezzo. Il tutto secondo regole il cui rispetto è assicurato da un organo di vigilanza.”

Intuisco che i “titoli di credito”, diversamente dalla moneta contante o dal baratto o scambio di beni reali, sono realtà fittizie tant’è che si suole dire che si “gioca in borsa” come si gioca con le fiche a poker o alle roulette.

Acquistare e vendere in borsa è un vero e proprio gioco d’azzardo. Attraverso gli operatori di borsa, si scommette sull’andamento delle quotazioni dei titoli, cercando di guadagnare il più possibile speculando sulla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita.

E come nel gioco si può bluffare, spacciando per buoni titoli che poi risultano ‘spazzatura’ e al contrario svalutando ad arte altri titoli per comprarli a poco prezzo e poi giocare al rialzo per guadagnarci, il tutto a spese dei creduloni che si fanno abbindolare pur essendo degli esperti del settore.

Apprendo che questo gioco è iniziato da poco nella storia del vostro mondo. Le prime Borse sono nate nel sedicesimo secolo sull’onda dei commerci internazionali e del molto denaro che circolava nelle banche e che doveva essere ’investito’ e fatto fruttare come i talenti della parabola evangelica. Prima l’economia evidentemente ne poteva fare a meno.

All’inizio la compravendita dei titoli si faceva, come al mercato della frutta o delle vacche, con la contrattazione ‘gridata’: gli intermediari urlavano i prezzi ai quali erano disposti a vendere o ad acquistare, e tra questa confusione trovavano altri intermediari disposti ad acquistarlo o a venderlo al prezzo gridato. Oggi tutto si fa per via telematica: è sul web che si incontrano e si scontrano i risparmiatori che vogliono acquistare titoli, con quelli che desiderano vendere i titoli acquistati in precedenza o le imprese che emettono titoli in cambio di liquidità (che spesso non hanno).

E il gioco si diffonde sempre più: sempre più imprese – comprese le squadre sportive che prima si tenevano alla larga – si fanno quotare in borsa per avere denaro dagli investitori che comprano le loro azioni. Ma il gioco in borsa può essere assai rischioso. Se alcuni hanno costituito in pochissimo tempo vere e proprie fortune investendo in titoli, tanti altri ci hanno rimesso interi patrimoni. Gioco d’azzardo legittimo, mentre è vietato, o considerato addirittura patologico, in altri luoghi che non siano quelli autorizzati dallo stato.

Il rischio di un titolo dipende dalla credibilità di chi lo emette: sarà in grado di rimborsarlo alla sua scadenza? Il rischio può anche dipendere dal paese in cui la società opera: l’economia di quello Stato è stabile?  Anche su questi si specula: basta che una società subisca delle perdite per ragioni vere o montate ad arte della concorrenza e il titolo scende; se uno Stato attraversa una fase economica critica i titoli ad esso legati si deprezzano, e l’economia va ancora più in tilt.

Gli indici di borsa ‘rialzano’ e ‘ribassano’ a secondo della domanda e dell’offerta, che dipende a sua volta dalla fiducia che ha in quel momento sull’andamento dell’economia. Durante le crisi subentrate per ragioni di guerre, recessioni di produzione e di consumi, crisi finanziarie, si creano effetti a catena che portano al tracollo dei titoli azionari, travolgendo le finanze e la vita di tante persone.

Il danno si ripercuote infatti sugli investitori e sui titoli più deboli, come avvenne nei casi clamorosi del crollo di Wall Street nel 1929 e altri analoghi più recenti. Ma era già avvenuto precedentemente alla fine dell’ottocento ed è avvenuto qualche decennio fa per la rottura delle ‘bolle speculative’ dove azioni che sembravano forti scoppiarono (proprio come i palloni gonfiati troppo!) travolgendo tutto e impoverendo tanti.

Questo sconvolgimento nasce dal fatto che molti titoli non hanno corrispondenza con l’economia reale, e che basta un elemento di crisi per scoprire il bluff e fare saltare il banco del grande gioco. In tutto il mondo, perché l’economia globale crea reazioni a catena imprevedibili e rapidissime nei loro effetti devastanti, che uccidono intere economie locali.

Bull and girl at Wall street
(by Antonio Di Modica, 1989 – Kristen Visbal 2017)

Detto questo, mi resta non risolto il dubbio del perché neppure durante le epidemie, quando certamente recessione e crisi finanziarie sono generalizzate e inevitabili, le Borse si fermano.

Qualcuno dice che proprio nella crisi si può avere bisogno di recuperare liquidità, svincolando investimenti; che gli stati devono vendere titoli per finanziare le maggiori spese. Ma non sarà questo a provocare poi la crisi del mercato globale, e dunque non si possono trovare soluzioni alternative a livello sovranazionale? Oppure, se proprio si devono tenere aperte, limitare gli scambi dei privati, e lasciare solo quelli che servono solo agli Stati per le urgenze inderogabili?

Domande ingenue, certo. Ma insospettisce il fatto che nessuno lo spieghi chiaramente, mentre tutti parlano di tutto e di più…

È ingenuo, o paranoico, sospettare che gli speculatori vogliono approfittare proprio delle crisi, per comprare a poco prezzo come nelle svendite fallimentari, per poi rivendere a prezzi più alti quando le cose torneranno alla normalità? E che i poteri forti, quelli che comandano l’economia mondiale, siano tra questi approfittatori?

Tornando a Magrelli citato all’inizio, la sua poesia sulle Borse dopo aver ricordato che nel Tempio la musica non suona per tutti, ma solo per i fedeli adepti, termina con grande pessimismo: “armonia delle sfere a Piazza Affari / e il soffio della morte”

Come dimostra la loro persistente apertura anche durante il periodo in cui tutto il resto dell’economia e dell’attività mondiale si chiude, e pur con tutte le giustificazioni possibili, le Borse restano lontane dalla vita reale delle persone (che, come il sottoscritto Alieno, non ne capiscono il senso). Potranno mai diventare per tutti – e non solo per i pochi ‘esperti’ (o furbi) che capiscono i meccanismi del gioco – elemento di vita?