QUALCHE GIORNO FA  SI È CELEBRATA LA GIORNATA DI PREVENZIONE DELLO SPRECO ALIMENTARE, PER RICORDARE ALL’OPINIONE PUBBLICA UN PROBLEMA PARADOSSALE DI PORTATA MONDIALE.

Gli sprechi alimentari nel mondo ammontano a più di 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, pari a circa un terzo della produzione totale. Secondo gli organismi delle Nazioni Unite una quota di alimenti (il 14%) vengono persi addirittura prima di arrivare a commercializzarli, mentre un altro 17% vene buttato perché non consumato. Quasi 4 miliardi di tonnellate l’anno, secondo l’ultimo rapporto FAO.

Quantità incredibili di cibo sprecato che poi incrementano la quota di “umido” della raccolta differenziata dei rifiuti. Ma che producono anche quote di altri materiali, come la plastica delle confezioni alimentari: rifiuti più difficile da smaltire.

Inoltre molto del cibo eccessivamente prodotto ha alla base l’inutile sfruttamento di terreni e l’enorme consumo di acqua per l’irrigazione che creano ulteriori problemi…

E ancora, la eccessiva domanda, in alcuni paesi, di prodotti che poi vengono sprecati fa crescere i prezzi. Senza alcun guadagno per i produttori e invece con lauta speculazione dell’intermediazione parassitaria tra produzione e distribuzione.

Insomma, un insieme di problemi che andrebbe regolato da politiche economiche a livello mondiale.

Il paradosso più grave è che il cibo sprecato potrebbe sfamare tante delle persone – 250 milioni! – che soffrono la fame nel mondo.  Ma chi spreca il cibo e chi non ne ha difficilmente si incontrano, per cui è necessaria una azione di programmazione generale. L’ONU ha programmato questa azione nel 2015, ed entro il 2030 mira «a dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto». Ma arrivati quasi a metà strada di questa programmazione i risultati sono ben scarsi.

Se globale è il problema, altrettanto deve esserlo la soluzione. Senza lasciarlo alle differenze di iniziativa dei singoli paesi o alla azione dei singoli consumatori, ancora poco sensibilizzati e sottoposti invece alla pressione dei piccoli e grandi mercati che invogliano al consumo alimentare. Specie durante la pandemia quando la frenesia di fare incetta di riserve alimentari (come nei tempi di guerra) ha peggiorato ancora il problema.

È certamente importante avviare iniziative come Food for Soul,  e la lotta allo spreco alimentare a livello globale con i progetti di “Refettorio nel mondo”. Un noto chef ha recuperato dalle discariche tonnellate di eccedenze alimentari, trasformando gli ingredienti recuperati in pasti per quanti sono ai margini della società. “Se riusciamo a utilizzare tutti gli ingredienti al massimo potenziale, ridurremo la quantità di rifiuti che stiamo creando e faremo acquisti in modo più efficiente”.

Iniziativa sicuramente encomiabile, come quella di creare banchi alimentari che riciclano cibo non consumato e ancora utilizzabile. Tutto questo parte però da sprechi già avvenuti, cercando di recuperarne gli esiti dannosi. Ci sono poi illustri cuochi che pubblicizzano “menù consapevoli” spiegando come conservare e utilizzare al meglio gli alimenti e riutilizzare gli scarti. Cosa che per la verità i vostri nonni sapevano fare benissimo, creando ottimi piatti con i residui dei pasti precedenti.

Ma è difficile convincere a questo meritorio impegno gastronomico, quando remano contro le grandi catene multinazionali del fast food o della distribuzione alimentare, che proprio sulla quantità di cibo prodotto realizzano i guadagni. Questi non hanno alcun interesse, a meno che siano obbligati da precise norme, a ridurre ciò che è comprato dalla clientela, anche se poi sprecato. E certo non si risolve il problema se questi industriali del cibo ogni tanto compiono il bel gesto di regalare l’invenduto a chi fornisce pasti agli indigenti. Anche il ricco Epulone della parabola evangelica lasciava che il povero raccogliesse gli scarti dei suoi lauti pranzi, ma non per questo ottenne la salvezza finale…

La mensa del ricco e il povero alla porta, dal codice di Echternach, VIII secolo

In realtà, il problema economico dell’alimentazione si incrocia con un altro di tipo psicologico: perché tanta gente compra (e mangia) più di quanto necessario?

Chi mangia troppo e chi troppo poco si trova anche nelle società in cui il cibo ci sarebbe per tutti, e quindi la patologia sta nell’usarlo in modo sproporzionato. Una parte è obesa e si ammala e muore per patologie da ipernutrizione, una parte è affamata e si ammala e muore per patologie da malnutrizione. E chi ha di più non intende privarsi neppure di una parte del suo di più per darlo a chi ha di meno, o almeno insegnargli come si fa a procurarselo.

Gli organismi sovranazionali e le religioni predicano affinché questa disuguaglianza “etica” si riduca, ma gli effetti non si vedono. Forse perché né questi organismi né le religioni hanno poteri costrittivi nei confronti di chi decide sulla economia mondiale.

Scriveva Oscar Wilde: “Il mondo è un palcoscenico, ma le parti sono male distribuite”.

Quando si proclama che “ogni famiglia butta 145 chili di cibo l’anno”, il solito dato “medio” nasconde che ci sono famiglie che ne sprecano molto di più, e altre che non hanno cosa sprecare… Quindi sono distribuite male non solo le parti – come dice Wilde – ma anche le risorse che ognuno ha per recitare la sua parte.

Ci sono obesi che mangiano troppo e sprecano il cibo, e affamati che il cibo non lo trovano. Patologie della salute individuale, ma anche dell’economia mondiale. Patologie per cui è difficile trovare il medico e la vera medicina.